Molti di noi lavorano regolarmente con colleghi che risiedono in diversi edifici, città, paesi e persino continenti e questa tendenza si è accentuata in questi due ultimi anni, in cui la pandemia ha spinto notevolmente il “work-from-anywhere”. I membri del nostro team possono trovarsi in fusi orari diversi, parlare lingue diverse e far parte di culture diverse, ma sono comunque il nostro team.
C’è stato un tempo, non molto lontano, prima dell’avvento di Internet, in cui la maggior parte dei leader lavorava tra le persone del proprio team, magari proprio in fondo al corridoio. Potevano incontrare in modo informale le persone alla macchina del caffè o in riunioni improvvisate e leggere il linguaggio del corpo e le espressioni facciali per valutare l’umore delle persone. E potevano vedere se i membri del loro team facevano tardi in ufficio o se perdevano tempo.
Lavorare da casa è quasi per tutti una novità di quest’ultimo anno: tanti di noi hanno dovuto in questi mesi adattarsi a un ambiente di lavoro familiare e alieno allo stesso tempo.
Vi segnaliamo un interessante articolo comparso su “Il Corriere della Sera” del 29 maggio 2018, in cui si parla dello Smart Working, che in Italia “c’è ma non si dice”.
Vi segnalo due interessanti documenti, trovati durante recenti ricerche sullo Smart Working. Il primo è del governo britannico: “The Way we Work. A Guide to Smart Working in Government” .
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